Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι...

"Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι τους της παιδεύσεως της ημετέρας ή τους της κοινής φύσεως μετέχοντας" ΙΣΟΚΡΑΤΗΣ

(“Siano chiamati Elleni gli uomini che partecipano della nostra tradizione culturale più di quelli che condividono l'origine comune” ISOCRATE)

7 luglio 2013

Una mattina in compagnia di Petros Màrkaris

In una piovosa domenica estiva decido di mettere ordine nel mio archivio digitale e cosa trovo?
La mia registrazione di una mattinata primaverile trascorsa in compagnia di Petros Màrkaris e dei ragazzi della scuola Lianokladiou di Lamia, accompagnati dalla intraprendente insegnante Ioulia Gkika. Un bellissimo ricordo.
I giovanissimi studenti avevano lavorato  durante l'anno scolastico, sui romanzi dello scrittore greco e, in gemellaggio con una classe italiana, su quelli del nostro Camilleri, per realizzare, infine, una rappresentazione teatrale ispirata ai polizieschi dei due autori.
In un giorno di marzo, in un giardino ateniese, ero lì insieme ai vivaci discenti visibilmente emozionati per questo incontro con P. Màrkaris, il quale, con la sua affabilità, ha messo tutti a proprio agio...

...L’atmosfera è molto allegra, mi piace osservare l’ingenua trepidazione di questi ragazzi ancora un po’ bambini e sono curiosa di ascoltare le loro domande per Màrkaris e le interessanti risposte dell'autore.

Spiros: I suoi romanzi sono molto attuali, come  mai?

Màrkaris: I romanzi e i racconti che scrivo hanno a che fare con l’attualità, perché mi interessa raccontare il presente e non il passato.
Tuttavia, anche il passato ha a che fare con l’oggi, ovviamente. Per esempio, il mio romanzo “Si è suicidato il Che” racconta i Giochi Olimpici del 2004 e, tornando indietro di trent’anni, l’epoca della dittatura dei Colonnelli. In tal caso, il passato mi è servito per spiegare problemi del presente.

Erotòkritos: Come nasce l’idea per un libro?


M.: Questo è difficile da dire. Non esiste un modo per farsi venire un’idea, non basta mettersi seduto e aspettare che questa arrivi, ma, a volte, l'idea è già dentro la tua testa.

Per farmi capire meglio, ti racconto come è andata col mio ultimo romanzo “La balia” (Παλιά πολύ παλιά), ambientato nella Città, Costantinopoli, dove sono nato, cresciuto e dove ho frequentato il liceo.
Era da tempo che volevo scrivere un romanzo sulla mia città natale, ma continuamenterinviavo, perché avevo paura: paura della mia commozione, dei miei sentimenti; temevo che i ricordi mi avrebbero fatto perdere la lucidità per scrivere. Temevo che la commozione e le lacrime mi avrebbero offuscato la vista.
Finché un giorno, mia figlia, allora aveva circa trent’anni, mi disse: «Lascia stare, non ha molto senso che tu ci stia ancora a pensare. Se non ce la fai, lascia perdere, non importa».
Il problema era che appena cominciavo a scrivere, iniziavo a provare tutto ciò che temevo: la commozione, il turbamento e tutto il resto.
Succedeva anche qualcos’altro: ogni storia che mi tornava alla mente, tornava ogni volta con maggior forza.
Con i personaggi era anche peggio: appena ne creavo uno, ne arrivava, improvvisamente, un altro realmente esistito, che faceva svanire il primo nell’aria. L’ultimo arrivato era, infatti, sempre più vivido di quello da me creato.
A un certo punto, ebbi l’idea dell’anziana donna omicida che compare già nel primo capitolo.
Allora, capii che la mia assassina era stata una persona reale, ossia la donna che aveva cresciuto me e mia sorella. Si chiamava Maria, Maria Kampou ed era entrata a far parte della nostra famiglia nel ’42. Morì in una casa di riposo nel 1973, quindi visse con noi per ben 31 anni. Quando l’origine del personaggio mi fu più chiara, mi fu più facile proseguire nella stesura del romanzo.


Elèni: I personaggi dei suoi romanzi rappresentano persone reali?

M.: Ci sono scrittori che amano creare i propri personaggi attraverso la loro fantasia e scrittori che si ispirano a persone reali. Io appartengo a questa seconda categoria. Come è accaduto per il personaggio di Maria, di solito non invento del tutto i miei eroi, ma in qualche modo questi esistono già nella mia mente, poiché si tratta per lo più di persone che ho incontrato e conosciuto.

Michaìl: Avete scritto altro, oltre ai romanzi?
M: Ho scritto racconti, un’autobiografia, sceneggiature, opere teatrali, ho scritto molto e testi di vario genere.

Sokràtis: Quale dei suoi libri ama di più?
M.: Posso dire senza riserve che il più amato è l’ultimo: “La balia” perché è un romanzo molto personale, parla della mia infanzia e del luogo in cui sono nato e cresciuto. Questo è il libro che più mi ha emozionato.
Se per contro mi chiedi qual è il libro che ritengo più vicino al mio modo di pensare e al mio senso di giustizia, ti rispondo: “Si è suicidato il Che”, in quanto è un romanzo che contiene valutazioni molto personali, che non hanno a che fare con i ricordi della  mia vita, ma con le mie idee sociopolitiche.

Panos: Quale dei suoi libri è il più amato dai lettori?

E’ strano, ma ogni paese ha il suo. In Grecia  il più amato è “Si è suicidato il Che”, poiché parla della sua Storia, dalla Dittatura dei colonnelli alle Olimpiadi.
Ai tedeschi piace soprattutto “La lunga estate calda del commissario Charitos”.
Gli amici di Costantinopoli preferiscono su tutti “La balia” perché parla della loro Storia.
In Germania, stranamente, questo romanzo che io amo tanto, non è andato molto bene, mentre è stato molto apprezzato in Italia, così come in Spagna.
Far conoscere ai tedeschi il colpevole sin dall’inizio, come accade in "La Balia, è un errore, ciò li disturba, loro vogliono giocare il gioco dall’inizio alla fine.
Per gli spagnoli e gli italiani è diverso, perché a loro interessa soprattutto l'intreccio narrativo del romanzo. Infatti, Camilleri, a volte, dichiara il colpevole sin dal principio. Lo stesso faceva in Spagna Velasquez Montalban. I loro lettori hanno, in qualche modo, interiorizzato questo tipo di scrittura.

Vàsia: Ha scritto anche per la tv, vero?

M.: Sì, ho scritto la sceneggiatura di una serie televisiva per tre anni : “Anatomia di un delitto”.
Al terzo anno, quando avevo realizzato ormai ben 65 episodi e capii di non poter andare oltre, così dissi al direttore della rete televisiva: «Basta, basta! Non ne posso più!»
«Sei pazzo? Guadagni un sacco di soldi!», rispose.
Era vero, ne guadagnavamo molti, ora non è più così.

«Mi spieghi perché dovremmo fermarci?», insistette lui.
«Perché mi annoio, non ne posso più. Cambia il programma, interrompilo, trova un altro   Sono affari tuoi, io vi saluto!»
«Va bene, cercherò una soluzione».
Il bello di quel lavoro era l’ufficio: si affacciava sull’Acropoli, vedevo il Partenone, era una vista molto suggestiva. Un conto è annoiarsi a casa e un altro è annoiarsi davanti all’Acropoli. Tuttavia, ero stanco: «Basta Partenone, non ne posso più!».
Improvvisamente, mi apparì davanti una famiglia di tre persone: un padre una madre e un figlio - non sapevo ancora che quel figlio era una ragazza. Si trattava di una tipica famiglia greca piccolo borghese. Nel vederli persi le staffe, non volevo averci nulla a che fare, avevo ben altro di cui occuparmi .
Non ce l’ho con la piccola borghesia, ma la letteratura, il teatro, la televisione, il cinema
sono pieni di piccolo borghesi, su di loro non avrei potuto scrivere nulla di nuovo. Se gli altri hanno già detto tutto, a te cosa resta da dire?
Ma quel tipo era talmente cocciuto che non mi lasciava in pace. Io cercavo di scrivere al computer e me lo ritrovavo davanti.
Passa un mese, passano due mesi, era un vero tormento, non riuscivo a lavorare e avevo ancora un episodio da terminare, era un lavoro di una noia mortale, ma se non l’avessi consegnato nei tempi, sarei stato sul serio un uomo morto.
A un certo punto mi sono detto: “Pensaci un momento: quest’uomo che ti tortura o è uno sbirro o un dentista.
Appena capii che si trattava di uno sbirro greco, seppi anche che si chiamava Costas Charitos, che la donna, sua moglie, si chiamava Adriana e il “figlio” Caterina.
Tutte queste informazioni le conoscevo già, erano evidentemente dentro di me e aspettavano solo il momento giusto per venire fuori.

Miranda: Quale personaggio dei suoi romanzi ama di più?

M.: Ma Charitos, ragazza  mia, chi altri?
Un giornalista tedesco mi ha chiesto una volta: «Come scrive di Charitos?».
Dunque, è molto semplice: mi sveglio la mattina, mi rado, mi preparo il caffè e mi siedo a chiacchierare con Charitos. Lui mi racconta cosa ha fatto e io poi lo scrivo. 
Il bello è che questa scena si ripete ogni volta. Il brutto è che prima o poi Charitos mi avrà detto tutto e io dovrò trovare un altro personaggio.

Stavros: Ha mai pensato di scrivere storie di immigrazione?
M.: Le storie degli immigrati mi interessano molto, moltissimo.
L’immigrazione è un problema che ci riguarda, ma non è sempre stato un fenomeno negativo. Molte città europee, come Lubecca in Germania e altre in Italia, sono nate grazie all'immigrazione, grazie a gruppi di uomini che si sono insediati dove hanno trovato l’acqua e i fiumi, dando vita alle città.
Delle volte, mentre sono al lavoro sul mio computer, sento arrivare da fuori – sotto casa c’è un phone-center – la voce di qualcuno che, in un’altra lingua, urla al telefono, cercando di parlare con qualcun altro che si trova chissà in quale parte del mondo.
Quando quest’uomo urla, io non sento la sua lingua, o meglio la sento, ma ciò che sento è un uomo greco che, da una piccola stazione in Germania nel 1961, ’62 o ‘63, chiama e grida: «Sono io, Maria! Come stanno i bambini? Maria!»
Nelle mie orecchie quel grido continua a risuonare, è stato il grido del nostro popolo, solo che ora ce ne siamo dimenticati. 
Lo stesso vale per gli italiani, per gli spagnoli, tutti hanno fatto quella telefonata.Allora, non dovremmo puntare il dito sugli immigrati, perché anche noi lo siamo stati. E come adesso questi uomini cercano di portare qualche soldo nel loro paese, così lo hanno fatto i greci, gli  italiani, gli spagnoli.
Oggi, il più famoso magistrato tedesco sapete chi è? È un italiano, si chiama Di Caprio, è figlio di immigrati, ha studiato in Germania, ha fatto il dottorato e ora è magistrato.

Mavra: Come possiamo realizzare l’integrazione secondo lei?

M.: Ci sono innanzitutto due regole da seguire: la prima che i figli, ma in particolare i genitori immigrati, imparino la nostra lingua, quella greca, perché l’inserimento senza la comunicazione linguistica è impossibile.
In secondo luogo, chi emigra dovrebbe imparare anche le regole e le tradizioni della società in cui si inserisce.
Queste due norme le stanno adottando anche i tedeschi, negli ultimi quattro anni, dopo averne pagato le spese: infatti, fino a oggi in Germania, un greco o un turco poteva nascere, crescere, andare a scuola, trovare lavoro e sposarsi, senza sapere una sola parola di tedesco e senza avere nulla a che fare con la cultura tedesca. 


I ragazzi ringraziano P. Màrkaris e invitano me e lo scrittore a Lamià, per la prima del loro spettacolo, che avrà come protagonisti i commissari Kostas Charitos e Salvo Montalbano. Sarà uno spettacolo emozionante!

(Traduzione di Viviana Sebastio)













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