Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι...

"Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι τους της παιδεύσεως της ημετέρας ή τους της κοινής φύσεως μετέχοντας" ΙΣΟΚΡΑΤΗΣ

(“Siano chiamati Elleni gli uomini che partecipano della nostra tradizione culturale più di quelli che condividono l'origine comune” ISOCRATE)

28 novembre 2012

E all'improvviso i luoghi divennero uno

L’itinerario mitico della poesia di Michalis Pierìs 
di Paola Maria Minucci



La fine del mondo 


E all'improvviso i luoghi divennero uno.

Vennero i luoghi in cui camminai, città
e quartieri e strade. Migliaia di luoghi
meridiani, a Settentrione, a Sud. Con caldo,
nuvole e neve. Monsoni tropicali
e temporali. Sole bel tempo e pioggia,
luoghi di piacere, d’improvviso pericolo.
Luoghi selvaggi, oscuri e altri calmi.

Allora il luogo sparì come luogo
della patria. Un paesaggio mitico si agitava ora
dentro di me. Si regolavano le sue strade
le porte si aprivano al tempo, donne
nude sudavano in sporche lenzuola. 

C’è posto per tutto questo nella scrittura. Fiumi,
ponti, montagne. Pianure e quartieri.
Luogo ampio il modo di parlare.
Tempo senza legami barriere e mura.
Come nei sogni. Tutto insieme e separatamente.

Sono nello stesso luogo non sono. Sono
ovunque e in qualche luogo. Prendo la matita
mi perdo si apre un buco sulla carta
e i modi si agitano  si mescolano
scritture, voci, descrizioni di fiumi,
laghi e lagune, i luoghi
girano a vuoto, si toccano le città, 
decine di città mi trattengono addormentano 
il mio corpo, mi sveglio non so dove mi sveglio,
dormo non dormo, mi aggiro
insonne nel cielo nella terra nell'acqua,
calpesto e non calpesto la terra, volo danzo
resto sveglio. Come nei sogni.

Tutto insieme e separatamente.



Questa poesia è di Michalis Pierìs, poeta contemporaneo cipriota, nato a Eftagonia (Cipro) nel 1952,  autore di una raccolta in versi intitolata, in maniera altamente significativa e programmatica, Metamorfosi di città, pubblicata in traduzione italiana da Donzelli. Questi versi sono la migliore introduzione alla sua opera: naturalmente, ma anche consapevolmente, direi,  “scritta e inscritta sulla carta”. La poesia di Pierìs infatti traccia un itinerario netto che finisce con il coincidere con la sua tematica di fondo e  con la sua poetica. La mappa, così  delineata, è veramente l’impronta digitale del poeta. 

I suoi versi nascono  e si collocano in uno spazio ampio, geografico: tra Oriente e Occidente e insieme  costellano  un viaggio nei luoghi della memoria, personali sempre ma anche letterari e storici. Il paesaggio della sua poesia è un mosaico di luoghi fisici e interiori che attraversano il tempo e lo spazio. 
Un viaggio che parte da un punto preciso della terra, il suo luogo di nascita, ma lancia subito una rete all’indietro e torna con una pesca oltremodo ricca e variegata. Cipro  - come è stata definita da un suo importante scrittore medievale, Leonzio Machieràs - è niente più che «una pietra lanciata in mezzo al mare e intorno a lei, Turchi e Saraceni». Punto di incontro importante però tra culture e continenti diversi: piccola isola sospesa tra Oriente e Occidente, al confine fra tre grandi continenti: Europa, Asia, Africa: una piccola pietra che non si è lasciata schiacciare e annullare dalla storia ma ne è uscita con una sua identità culturale precisa. 
Questo cosmopolitismo storico della sua patria farà parte del DNA di Pierìs: l’andare oltrei ristretti confini nazionali è un’eredità che gli è stata consegnata dalla storia e dalla sua nascita e dunque un suo modo d’essere naturale. 

Attraversando la lettura delle sue poesie  e camminando per le sue tante città: Nicosia, Retimno, Salonicco, Granada, Palermo, Roma, Venezia, Sidney,San Pietroburgo, Il Cairo, Londra, Monaco e altre ancora, ci rendiamo subito conto che la sua opera si muove in un ambiente geografico e culturale esteso e assimila elementi geograficamente e culturalmente diversi.

Nella sua poesia, come nell'itinerario tracciato dai luoghi “inscritti” nei suoi versi, c'è una perfetta circolarità. Il percorso poetico ed esistenziale di Pierìs traccia una curva che parte dalla sua piccola e «amara» patria, come lui stesso definisce Cipro, per allontanarsene poi e infine tornare a chiudersi su essa. Il luogo di partenza è in un certo qual modo la sua Itaca a cui tornare, ma quando il cerchio si chiude il luogo cui il poeta arriva è, e non è più, l’isola da cui è partito. 


il luogo sparì come luogo della patria
[...]
Sono nello stesso luogo e non sono

 perché, nel suo lungo viaggio, la patria, la sua  città, si è  trasformata, ha subito una “metamorfosi”, è diventata  luogo interiore, «paesaggio mitico», un paesaggio che compone il presente con il passato attraverso il recupero della memoria.

«La poesia è nata dai miei viaggi», ha scritto consapevolmente il Poeta e in maniera ancora più precisa e significativa: «Ho dormito a Pànormo e mi sono svegliato a Palermo», verso che è lui stesso a commentare come un «verso che racchiude e contrae Creta e Sicilia, due luoghi da me molto amati.  [...] Altrove Rètimno di Creta si contrae in Mòlivo di Lesbo, altrove Barcellona si confonde con Nicosia, un sogno a Palermo si confonde con un sogno che riunisce le due parti divise di Nicosia».
Tutte le sue città  non sono in fondo che tanti suoi eteronimi, mascheramento della sua patria.
Il viaggio, la fuga quasi, è un modo per trovare un distacco emotivo dal dolore che gli procura la divisione della sua città, un modo per affrontarlo in maniera indiretta; Cipro allora si trasferisce in Sicilia e nasce Memoria di luna a Palermo in cui il poeta traspone appunto la realtà e il dolore insopportabili della sua patria divisa.
Alla fine, l’itinerario tracciato dalla sua poesia cancella se stesso e qualsiasi riferimento a possibili luoghi reali. Come ha dichiarato lo stesso poeta, il suo viaggio tra le tante città gli ha insegnato «non solo a essere esule, ma anche ad esercitar[si] nell’arte dell’estraniamento da ogni patria convenzionale». 
Il paesaggio nato da queste continue sovrapposizioni di luoghi è «uno spazio ampio», senza né «legami» né «barriere» né «mura» dove si ritrova, per contrasto,un’eco dolorosa dei fili spinati che straziano in due la sua città. 

Ringrazio vivamente la prof.ssa Paola Maria Minucci per avermi concesso la pubblicazione.

Da: Il porto di Toledo


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